Accademia Kremmerziana Napoletana

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L’UNITARIETÀ

(Questo brano fu pubblicato da Hahasiah nel 1982
in La Porta Ermetica, Edizioni Mediterranee,
sotto lo pseudonimo di Nemo)

Nell’opera La Porta Ermetica più diffusamente che altrove, e in particolare nei capitoli X-XII, è presente il concetto ermetico di unitarietà sul quale il Kremmerz torna spesso in altri suoi lavori e sul quale si basa l’edificio filosofico e dottrinario della Scienza Ermetica.

Riuscire a "capire" questo concetto, cioè a farlo diventare un tutt’uno con se stesso, carne della propria carne, significa essere già molto avanti nello studio dell’essere umano, che ciascuno di noi persegue mirando alla realizzazione dell’integrazione. Purtroppo, come avviene per molti altri concetti ermetici, anche quello dell’unitarietà si presta a diverse interpretazioni e, anche, a interpretazioni successive su differenti piani di coscienza e realizzazione, per cui diventa facile fraintendere invece di intendere, con i conseguenti pericoli di errore cui è esposto il ricercatore che presume di aver trovato una risposta definitiva alla sua domanda. È, questo, un pericolo in cui ci si può imbattere a qualsiasi stadio della via iniziatica, piena di bivi e di deviazioni senza ritorno e è per questo che il Kremmerz pone in guardia, a ogni piè sospinto, il ricercatore, raccomandandogli di "bere acqua per non ubriacarsi" e di non credere a nessuno e diffidare di tutto e di tutti.

Forse non è inutile spendere alcune parole su questo rischio di fraintendere, perché fin troppi cari Fratelli sono stati visti incamminarsi lungo una delle deviazioni senza ritorno, loro che erano certi di battere la via maestra! Il processo che si innesca in casi del genere è squisitamente psichico: il ricercatore pensa di aver penetrato un "segreto" perché la sua interpretazione, al lume della dottrina, potrebbe essere plausibile al suo stadio evolutivo. Inesorabilmente, il pensiero diventa certezza e egli, confortato da questa sua certezza e sicuro di essere nel giusto, inizia a sperimentare trascurando di confrontare la propria interpretazione col Fratello più anziano cui è stato affidato perché lo guidi, e già questo denota il primo "peccato di presunzione" e il rischio di errore. Infatti, se l’interpretazione è frutto di fraintendimento, la sperimentazione basata su tale errato presupposto lo porta lontano, sempre più lontano dalla strada maestra e inizia in lui una reazione a catena in cui il saturniano e il lunare prendono il sopravvento sul nume e i suoi pensieri, le sue azioni, i suoi esperimenti si invischiano sempre di più nel volgare che informerà tutti i suoi atti futuri per cui, invece di pensare e agire a livello del mondo delle cause, egli svolge la propria attività nel mondo degli effetti e, è bene aggiungere, in una zona sempre più bassa di tale mondo, inquinata dai difetti che caratterizzano l’uomo volgare comune, e la sfrenata sessualità, la cupidigia, la sete di potere vengono in superficie esercitando tutta la loro potente attrazione sul fragile essere umano non ancora completamente "purificato" e fortificato. Così, partendo da un errore iniziale di minime proporzioni, che un semplice confronto avrebbe potuto chiarire e eliminare, ci si ritrova su posizioni diametralmente opposte a quelle che ci si prefiggeva di raggiungere. A questo stadio, l’unica via possibile è ricominciare da capo, come suggerisce il Kremmerz, ma nel frattempo il ricercatore si è inorgoglito sempre più e, ubriacato dalla sua stessa prevaricazione, gli riesce oltremodo difficile ritrovare la necessaria umiltà per riconoscere, con se stesso se non con gli altri, di aver percorso la via sbagliata che, proprio per questa sua mancanza di umiltà, diventa di non ritorno. Questo è uno dei pericoli cui sono esposti particolarmente i ricercatori che Kremmerz definisce "ignoranti", ma per fortuna la dottrina offre al ricercatore equilibrato i mezzi per individuarlo e evitarlo e tra questi mezzi possiamo annoverare la neutralità (= purificazione) di cui si parla al capitolo V di La Porta Ermetica.

Ma torniamo al concetto di unitarietà. L’uomo che si pone il problema si guarda intorno e dice a se stesso: io sono UNO, il mio essere è diverso e diviso da quello del mio vicino di casa o del mio collega d’ufficio. Giusto! Egli è UNO, perché la sua mente è diversa da quella del suo vicino o del suo collega, perché il suo stadio evolutivo è diverso da quello degli altri. Ma se questo stesso uomo si ferma un attimo a riflettere sul suo IO, si renderà conto che esso è formato da tante componenti complementari che concorrono a enucleare quell’UNO che egli individua e sente. E se scende ancora di più nel particolare e osserva il suo corpo saturniano, si rende conto che tanti organi contribuiscono alla sua formazione individuale, ciascuno dei quali potrebbe, se avesse la capacità di pensare, ritenersi UNO. E all’interno di ciascun organo, se questo nostro ipotetico uomo potesse spingere lo sguardo, vedrebbe tanti milioni di cellule che costituiscono l’organo e che, se avessero la capacità di pensare e la coscienza di sé, potrebbero singolarmente affermare di essere UNO. Ma che fine farebbe ogni organismo organizzato, e in particolare questo nostro uomo che si sente UNO, se ogni suo organo, ogni sua cellula, ritenendosi UNO, cominciasse a prendere decisioni e iniziative individuali, a lottare con le altre cellule o con gli altri organi per conflitti che sorgerebbero naturalmente, per assicurarsi una preponderanza sulle altre cellule o sugli altri organi? Sarebbe il trionfo di un "istinto rudimentale dell’egoismo separatore cui tendono, senza riuscirvi, tutti gli individui e tutte le unità". Per nostra fortuna ciò non si verifica ( o forse avviene, ma allora è la malattia e la morte dell’organismo lacerato da queste lotte), perché l’uomo, nella grande maggioranza dei casi, ha già realizzato, al suo stadio attuale di evoluzione, la sintesi cellulare e organica e, in genere, tale sintesi è conservata per tutta l’esistenza terrena. Questa sintesi, in base ai suoi criteri e analogamente alla sintesi macrocosmica universale, ha assegnato una funzione a ogni cellula costituente l’organismo e la cellula di un muscolo non si ribella, spinta dal principio di separazione che si identifica con l’odio, perché invidiosa di una cellula del cervello o dell’occhio: ciascuna svolge la funzione affidatale nel migliore dei modi e al meglio delle sue capacità e quando una cellula non assolve più la sua funzione, viene espulsa dall’organismo o muore e la sua morte non crea alcuno squilibrio nell’organismo unitario, che provvede immediatamente alla sua sostituzione.

Ma se è vero che l’uomo comune ha già realizzato questa prima sintesi (pur se a differenti livelli), tanto da sentirsi UNO, egli non ha ancora realizzato le sintesi successive cui la legge di evoluzione universale lo assoggetta, perché tale legge ci dimostra che tutto è UNO, che la materia è unica, pur se presenta aspetti diversi a differenti gradi di attenuazione; che la forza è unica, pur se analiticamente noi crediamo di rilevare diversi tipi di forza e, pertanto, tutto ciò che appare separato o multiplo in effetti è o dovrà diventare UNO attraverso un suo processo evolutivo. Sia in campo sottile, sia in campo sociale, l’uomo deve superare il senso di separatezza che avverte istintivamente e che lo fa sentire differente da se stesso, in diverse ore del giorno a seconda che preponderi un aspetto del suo essere quaternario, o dal vicino di casa e dal collega d’ufficio, perché non vede in loro ciò che dovrebbe renderli uniti, come sono unite le cellule di un organismo, pur sempre facendo salva la differenza di funzione, strettamente correlata allo stadio di evoluzione che contraddistingue ciascuna monade.

In campo sottile l’uomo, qualunque cosa egli ne pensi, non è UNO nel senso che noi intendiamo se non dopo aver assoggettato il proprio essere alla lunga pratica dell’iniziazione reale. Si potrebbero portare tanti esempi di questa assenza di UNITÀ, ma mi limiterò a due soltanto, lasciando al ricercatore la gioia di scoprirne altri. L’uomo comune, non iniziato o integrato, è composto, come ci suggerisce Kremmerz, da quattro aspetti che egli chiama saturno, luna, mercurio e sole e che gli alchimisti individuano come piombo, argento, mercurio e oro. Questi aspetti o corpi, se preferiamo usare un termine che potrebbe però essere frainteso, sono nell’uomo comune allo stato di miscuglio, di caos e non di sintesi. Per comprendere ciò si può ricorrere all’esempio fin troppo sfruttato dell’idrogeno e dell’ossigeno, citato anche da Kremmerz nel capitolo XII di La Porta Ermetica. Se si pongono idrogeno e ossigeno insieme, senza la presenza di un catalizzatore che favorisca la sintesi, si avranno sempre i due elementi idrogeno e ossigeno; ma se è presente un catalizzatore che sintetizzi i due elementi, l’idrogeno e l’ossigeno daranno luogo alla sintesi acqua. I quattro aspetti dell’uomo comune sono miscelati nel suo essere, che pure si sente UNO, ma non sintetizzati, tanto è vero che la sua coscienza gli fa avvertire momenti di preponderanza dell’uno o dell’altro aspetto, esaltandosi per influsso mercuriale puro o deprimendosi per preponderanza acquosa lunare o diventando pesante per soggiacenza alla voracità saturniana. Solo quando egli avrà raggiunto il perfetto equilibrio di sintesi tra i vari aspetti e non sarà più oggetto o preda della preponderanza di uno sull’altro, potrà dire di aver realizzato l’iniziazione o di aver operato la sintesi del suo essere e potrà sentirsi veramente UNO, ugualmente presente e attivo nel mondo delle cause e nel mondo degli effetti. Ma questa è opera immane, pur se parzialmente facilitata dagli strumenti che la Scienza Ermetica pone a disposizione del ricercatore, e spesso occorrono varie esistenze terrene per giungere al completamento dell’Opera. Ma del resto, quanto tempo ha impiegato l’homo sapiens per diventare tale? E da allora, quanto tempo ha trascorso nel tentativo di individuare e realizzare la sintesi successiva che dovrebbe porre l’homo sapiens in una stadio successivo di evoluzione al riparo dagli eventi che lo distolgono dalla realizzazione delle successive sintesi?

Il secondo esempio si riallaccia direttamente a quanto esposto dal Kremmerz al capitolo XI di La Porta Ermetica ed è strettamente collegato al "mistero" del numero tre, da tante parti detto numero perfetto senza la perfetta conoscenza del perché. Il Kremmerz spiega esaurientemente che per 1 deve intendersi la capacità attiva, l’attivo come assoluto; per 2 deve intendersi la capacità passiva, il passivo come assoluto. Ogni uomo è, in diversi momenti della sua esistenza, 1 o 2, cioè attivo o passivo, e chiunque potrà trovare decine di esempi se solo esamina una giornata della sua esistenza terrena. Ma possiamo noi affermare che l’uomo è 3 perché assomma in sé la capacità attiva, 1, e quella passiva, 2? Se affermiamo ciò siamo in errore, perché perdiamo di vista il concetto di sintesi e diamo al 3 un valore di somma aritmetica, o miscuglio come nell’esempio dell’ossigeno e dell’idrogeno. Per realizzare il 3 in tutta la sua pienezza e il suo splendore, il 3 portatore di grandi realizzazioni che il volgo chiamerebbe miracolose, è necessario che l’uomo realizzi la sintesi dell’uno e del due, della capacità attiva e di quella passiva riuscendo a essere nello stesso preciso momento attivo e passivo, o androgine per eccellenza. Mi scuso col lettore che forse non metto in grado di afferrare l’ampiezza di questo concetto per pochezza delle mie parole che potrebbero farlo sembrare una cosa se non proprio scontata, almeno molto semplice. Purtroppo così non è, e solo chi ha sperimentato e operato nel tentativo di realizzare questo risultato può comprendere pienamente ciò che ho esposto e conosce, per esperienza diretta, la difficoltà di questa operazione di sintesi che gli alchimisti ripetevano pazientemente nei loro laboratori tante e tante volte, cocendo i metalli a differenti gradazioni di calore e in proporzioni diverse, nel tentativo di trovare la ricetta giusta. Ma forse sono andato di nuovo fuori strada portando, in una trattazione che vuole essere scientifica, un esempio preso a prestito dall’alchimia, che la scienza moderna disprezza come vaniloquio mistico di epoche passate o superate. O forse no?

Ma passiamo a osservare questo concetto di sintesi evolutiva in campo sociale, molto più concreto e pertanto alla portata di tutti. Nel momento in cui il primo uomo ha avuto coscienza della propria unità, quando si è sentito UNO nel senso detto prima, ha avvertito anche la necessità istintiva di aggregarsi al suo simile vuoi per sostegno, vuoi per amore, vuoi semplicemente per necessità, onde costituire una unione, sempre però facendo salva la sua UNITÀ di essere individuale (attenzione a non confondere il concetto di individualità con quello di isolamento o separazione). Nacquero così le famiglie, le tribù, i clan e così via fino alle nazioni o popoli uniti da un comune denominatore che non staremo qui a indagare. Ogni successivo aggregamento avrebbe dovuto rappresentare una sintesi che superava la precedente e in un certo senso e fino a un certo punto ciò si è anche verificato, pur se a livello ancora epidermico. Quanto detto prima a proposito del corpo umano, delle sue cellule e dei suoi organi vale anche in questo caso e il lettore potrà ricavare, dalla storia e dalla vita, le analogie che riterrà opportune, tenendo d’occhio quanto detto da Ermete nella sua Tavola di Smeraldo: "Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola". Oggi, attraverso enormi difficoltà e ostacoli, l’uomo tende a realizzare la sintesi umanità, che la fantascienza rende già operante in tante belle favole futuristiche ma, ahimè!, ben lontane dal mondo attuale.

Quando l’uomo avrà realizzato la sintesi umanità, in cui si sarà superato il concetto di precedente sintesi rispondente all’idea di popolo o continente o blocco, questo nuovo essere si troverà nella medesima situazione di crisi d’identità in cui si trova oggi l’uomo che ha realizzato la sintesi cellulare di organismo organizzato ma non ha ancora chiaramente individuato la strada da percorrere per giungere alla sintesi dei quattro aspetti, o corpi, precedentemente trattata.

Solo quando l’umanità, analogamente all’UNITÀ UOMO, individuerà e intraprenderà la strada che solo pochi uomini oggi vedono e intraprendono, la strada cioè della sintesi iniziatica, si apriranno per questo nuovo macro-organismo organizzato meravigliosi orizzonti di realizzazione. E pur se la strada è lunga decine e forse centinaia di secoli e l’idea può apparire utopistica finanche ai più ottimisti, la legge evolutiva, la legge cui ogni creazione viene assoggettata nel momento in cui è concepita, è una realtà cui niente e nessuno nell’universo può sottrarsi.

Dice Kremmerz: "l’uomo cammina verso l’ultima sintesi umana", ma superando questa sintesi, attraverso la realizzazione di tutte le altre sintesi, egli muoverà verso la sintesi suprema, cioè Dio, qualunque cosa si intenda con questo nome. E, per concludere con le parole di Hahajah, "noi operiamo delle sintesi, via via che ci evolviamo; l’ultima sintesi l’iniziato la precorre".

Hahasiah