Accademia Kremmerziana Napoletana

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RAIMONDO DI SANGRO, PRINCIPE DI SANSEVERO E LA
TRADIZIONE EGIZIA NAPOLETANA



L'ARTE REALE è ormai giunta al suo prossimo risveglio. La scelta dell' "ELETTA" è già fatta.I miei Adepti vedranno presto fiorire la "NIVEA ROSA" sulla cima del vecchio cespuglio. Si farà LUCE per chi cerca la VERITA' in purità di cuore. Questo sarà il mio dono per quest'Anno memorabile.

Raimondo di Sangro. .

                                                                   Raimondo di Sangro.


Giuliano Kremmerz ne "Il Ritorno" – La Scienza dei Magi – II Vol. – Ed. Mediterranee, p. 196 narra la leggenda di Mamo Rosar Amru.
"Chi fu Mamo Rosar Amru?
Non ne so la storia, racconto la leggenda.
Quando i sacerdoti iniziati dell'Egitto ebbero udita la Sfinge annunziare che la missione era finita, i maestri e i pontefici si separarono. Chi affrontò il deserto, chi il mare, chi si confuse nelle turbe delle grandi città.

L'ultimo dei pontefici di Iside si avviò alla foce del Nilo e vi si assise pensieroso sulla riva. Tutto era solitudine e silenzio."

Qui Mamo Rosar Amru, dopo aver incontrato l' "agubica" assira Myria, si imbarca.

Continua Kremmerz:

" Myria disparve. Era notte. Passò una nave con una fiaccola accesa, una barca si avvicinò alla sponda e un uomo gridò:

' Chi è colui che la dea ha destinato al passaggio del mare?'

Mamo si avanzò, discese nella barca e avvicinò la nave. Appena vi fu sopra, un vento dolcissimo gonfiò le vele, e la nave filò, come un genio l'avesse condotta per mano. Ma sulla costa della Campania una tempesta furiosa portò il naviglio a riva e Mamo toccò la terra delle sirene: Baia, Pesto, Puteoli, Partenope, Ercolano, Pompei, Stabia, accoglievano nell'incanto di un mare dalle sponde fiorite il lusso dell'opulenza latina. Si fermò a Pompei: Iside ebbe un tempio e riti sacrificali."

Questa la leggenda di come la Tradizione Egizia giunse sulle coste della Campania.

Ma anche la storia concorda con la leggenda.

Riportiamo da Franco De Pascale in "Cagliostro e l'Italia. La nascita del Rito Egiziano", pubblicato in "Cagliostro – Il Maestro Sconosciuto" – Marc Haven – Ed. Cambiamenti – p. 535: "Si può quindi dire che venisse in qualche modo demandato all'Italia, novella Egitto, come per decreto d'una Celeste Provvidenza, il sacro officio di mantenere viva, seppur nascosta, la fiamma e, a partire dal Rinascimento, di spanderla in seno alla civiltà europea. In Campania, già fin dal 105 a.C. circa, abbiamo i templi di Iside a Pompei e a Pozzuoli, e già fin dallྌ a.C. – ai tempi di Silla – nella stessa Roma, secondo la testimonianza di Apuleio, si era costituito un collegio di Pastòfori, votati al culto isiaco. […] Di particolare interesse sarà per noi il trapiantarsi dei culti egizi, nella forma da essi assunta dall'epoca Alessandrina, nella regione campana e in particolar modo a Napoli e nelle zone costiere vesuviane. Certamente, questo è un fatto ben noto da moltissimo tempo agli storici. Meno noto, invece, è il fatto che, in realtà, si tratta del radicarsi, profondo ed efficace, di un'elevata influenza spirituale la quale, a prescindere dalle vicende storiche ed esteriori che determinarono il tramontare della religiosità classica antica e, spesso, l'estirpazione violenta dei suoi culti, riuscì a trasmettersi ininterrottamente nei secoli, 'come fiamma che accende fiamma' ad opera di jerofanti ed iniziati, costituenti un Collegium sacro, perpetuante nell'Arca Arcana della Tradizione quell'imperitura scienza dell'Iniziazione, 'onde l'uom s'eterna'.

Notizie, tradizioni, talvolta leggende, tutte tramandate, oralmente, per secoli, all'interno di cerchie napoletane, parlano dell'immigrazione di un'intera colonia alessandrina di egiziani e di greci, trapiantatasi a Napoli nella zona dell'attuale Piazzetta Nilo, ove si formò il quartiere nominato per questo dai Romani Regio Nilensis. Questa colonia, recante con sé i propri usi, la propria religiosità e i propri culti, nel tempo andò assimilandosi alla locale popolazione di origine greco-italica. Ma, nonostante l'assimilazione etnica e la violenta dispersione dei culti pagani, avvenuta a partire dall'epoca costantiniana, secondo le suddette tradizioni – e anche secondo chi scrive – continuò occultamente a sussistere e a vivere l'anima o l'archetipo agente di quella comunità, operante sapienzialmente e magicamente a perpetuare l'arcano dell'Iniziazione.

Quest'anima o archetipo celeste agì invisibilmente, dando talvolta segno di sé e della sua azione in momenti cruciali della storia.

[…] Può essere visto come una 'segnatura' d'un superiore destino il fatto che due personalità luminose, due grandi italiani: Giordano Bruno e Tommaso Campanella, compirono i loro studi giovanili, nei quali si formarono all'amore per la tradizione pitagorica e platonica, nel convento di S. Domenico Maggiore, situato nelle immediate adiacenze di Piazzetta Nilo, presso la quale si trovano altresì i palazzi gentilizi delle famiglie de' Sangro e d'Aquino Caramanico, che somma importanza ebbero per quella aurea catena Hermetis che, nei millenni, ci ha trasmesso la sapienza egizia, famiglie che ebbero grande importanza nella vita e nella missione di Cagliostro. La tradizione filosofica e sapienziale che, a partire dal Rinascimento, si era manifestata attraverso circoli, cenacoli, accademie – tra le quali, importantissima fu l'Accademia dei Segreti di Gian Battista della Porta – nel Settecento assunse forma anche massonica.

[…] Risale, infatti, al 1728 il sorgere a Napoli di un'officina che sarà d'importanza notevole nella storia della massoneria italiana in generale e di quella 'egiziana' in particolare: la Loggia 'Perfetta Unione'. […] Stando a quanto ci è giunto per via della suddetta tradizione orale, fu proprio all'interno di quella Loggia che venne elaborata quella sintesi di Ermetismo Alessandrino e di Alchimia Rosicruciana, che si ritroverà nella dottrina, nei rituali e nella nomenclatura dei gradi del Rito di Misraim seu Aegypti. […]. Personalità preminente della Loggia 'Perfetta Unione' sarà Raimondo di Sangro, principe di Sansevero e duca di Torremaggiore (ove nacque nel 1710), figura luminosa d'iniziato rosicruciano, amico e discepolo del Conte di Saint-Germain.

[…] Ricerche accurate, svolte in archivi particolari, attestano la fondazione da parte del Principe Raimondo di Sangro di Sansevero di un Antiquus Ordo Aegypti, nel quale operò il Rito di Misraim seu Aegypti, il 10 dicembre 1747. […] Ricerche fatte da vari studiosi in seguito a fortunati ritrovamenti, hanno dimostrato la formazione da parte del Principe di Sangro di una loggia segreta, ad indirizzo chiaramente ermetico e rosicruciano, chiamato 'Rosa d'Ordine Magno', loggia clandestina che si riuniva nel suo palazzo, e la connessione con la medesima, in quel periodo di persecuzione, del latitante ed esule barone di Tschudy."

Considerata l'importanza per la Tradizione Egizia Napoletana del Principe Raimondo di Sangro, cerchiamo di delinearne la figura e l'opera.

Per tale impegnativa impresa, ci rifaremo all'opera di L. Sansone Vagni – 'Raimondo di Sangro Principe di Sansevero' – Ed Bastoni, in quanto è un'opera molto ben documentata ed attendibile sotto il profilo storico.

LA FAMIGLIA DI RAIMONDO DI SANGRO E LA TRADIZIONE

Per inquadrare bene l'opera del Principe è necessario evidenziare come egli appartenesse ad una Famiglia, nella quale si erano concentrate diverse espressioni della Tradizione Unica. In Raimondo di Sangro si trova infatti accentrata la Sapienza Iniziatica derivante da Antica Tradizione.

Oltre a raccogliere l'eredità della Tradizione Egizia presente nel Quartiere Nilo di Napoli, come vedremo in seguito anche in relazione all'ubicazione del Tempio della Pietà, egli era di stirpe Carolingia ed apparteneva alla stirpe della Casata dei Duchi di Borgogna ed in questa Casata, come scrive L. Sansone Vagni op cit, p. 4 :"ci saranno altri due notevoli personaggi , che condizioneranno la linea spirituale ed esoterica dei neo-Conti dei Marsi, futuri Principi di Sangro, e metteranno un'ipoteca iniziatica, nel tempo, per la costituzione di un "Centro" di potere occulto nel feudo di S. Severo in Puglia.

Il primo fu S. Benedetto, che fondò l'Ordine Benedettino, e "fu, così," – come scrive L. Sansone Vagni – 'Raimondo di Sangro Principe di Sansevero' – Ed Bastogi, p. 4 – "in gran parte il salvatore ed il diffusore della nostra civiltà e, con il paziente esercito dei suoi monaci amanuensi, permise che la fiaccola spirituale e scientifica del mondo greco-romano – rappresentato dalle Opere più significative dei grandi filosofi e pensatori – non venisse spenta nella buia notte delle orde vandaliche. Ciò stava a significare che, oltre a salvare la pura cultura accademica, si provvedeva al recupero soprattutto degli Antichi Insegnamenti, delle testimonianze delle religioni e del pensiero filosofico precedenti al Cristianesimo, affinché parte dell'enorme patrimonio non andasse irrimediabilmente perduto o quasi: anche se, purtroppo, un simile impegno culturale molte volte venne male applicato per errori di trascrizione o per volontarie omissioni dai troppo zelanti amanuensi. […] Nella Casata dei Sangro, perciò, si ritrovano numerosissimi Benedettini, che ricoprirono cariche importanti. […] I legami erano molto stretti tra le Casate dei Marsi e dei di Sangro con San Benedetto ed il suo Ordine: ciò inciderà ancor più nel tempo con l'affermarsi della potenza temporale e spirituale di questa antica Famiglia."

Il secondo grande personaggio legato, per discendenza, alla famiglia dei di Sangro è San Bernardo di Clairvaux o di Chiaravalle.

Vi è un comune legame di sangue ed essi risultano rami di un unico albero spiritualmente innestato sul poderoso ed antico ceppo Benedettino. Scrive L. Sansone Vagni op cit, p. 7 : "Egli [S. Bernardo] intrattiene un'assidua corrispondenza con i grandi dell'epoca. Favorirà ed appoggerà, e ciò sarà determinante, la costituzione dell'Ordo Templi (Ordine del Tempio) che prenderà il nome dal Tempio di Salomone a Gerusalemme dove i primi nove Cavalieri [Templari] si stabiliranno allorché il re Baldovino I, succedendo al fratello Goffredo de Bouillon o di Buglione, ne concederà loro una parte. San Bernardo e l'Ordine Cistercense hanno avuto il privilegio di riannodare questo legame con il passato che non era affatto da ignorare o da rigettare in blocco. Insegnamenti e legamenti fortunatamente ritrovati mercé proprio gli antichi Testi da loro salvati dalla distruzione dei barbari e dai troppo accesi entusiasmi dei primi Santi Padri della Chiesa che rigettavano ogni dottrina proveniente dal paganesimo. Gli antichi Testi in linguaa greca, siriana, caldea, latina ed ebraica, furono, così, dai Cistercensi pazientemente tradotti e conservati ed il legame potè essere di nuovo riallacciato ed innestato sul nuovo rigoglioso tronco della Tradizione Cristiana. Più che il mitico ritrovamento dell''Arca' nei sotterranei del Tempio di Salomone, - e che, forse, fu la causa primaria dell'improvviso fiorire di quest'Arte Gotica e dell'affermarsi del potere Templare e dell'Ordine Cistercense – noi crediamo fermamente che invece la vera causa di tanta potenza fu il rinvenimento ed il salvamento degli Antichi Testi della religione greca, egiziana, persiana, caldea e siriana.

[…] Perciò la permanenza in Terra Santa dei Templari, sia nel Tempio di Salomone a Gerusalemme che in tutto l'Oriente – a contatto con la fede ebraica e la Bibbia, con l'influenza egiziana, con quella greco-ortodossa dei bizantini più vicina al primo Cristianesimo, con le sètte religiose orientali, particolarmente dei Sufi, dell'Islamismo persiano e della religione di Zoroastro – la loro permanenza, ripetiamo, non fece che arricchire la loro Conoscenza e la loro Sapienza restando, di fatto, gli unici depositari dell'antico Sapere."

Ecco come nella Famiglia dei di Sangro e nelle mani del Principe Raimondo si venisse ad accentrare la sintesi di vari aspetti della Tradizione Unica, dalla Tradizione Egizia Alessandrina di Piazzetta Nilo – ove egli aveva il suo Palazzo e dove fu edificato il Tempio della Pietà – alla Tradizione trasmessa dai Benedettini e dai Templari, per trasmissione familiare.

LE OPERE E GLI INSEGNAMENTI DI RAIMONDO DI SANGRO.

Cerchiamo ora di esaminare, ovviamente in modo sintetico, le principali opere scritte dal Principe Raimondo di Sangro, traendo da esse i concetti basilari, che denotano una profonda conoscenza dell'Arte Alchimica, pur mascherata con veli a volte anche molto trasparenti.

Scrive L. Sansone Vagni op cit, p. 64: "Di molti testi possiamo solo dare la titolazione; la maggior parte di essi sono rimasti nascosti, presumibilmente in biblioteche, esclusivo patrimonio di privati, di Congreghe o di Logge Massoniche: in tal modo è venuta a mancare quella collaborazione e quello spirito di divulgazione che improntò tutto l'operato del Principe. Egli pubblicò le sue Opere, a rischio personale, esponendosi alle scomuniche dell'Arcivescovo di Napoli, incorrendo nei rigori della Censura, fino a quando lo costrinsero a tacere, per volontà regia, privandolo della sua amata stamperia.

Non domo da questa congiura oscurantista del silenzio, cercò ancora di pubblicare lavori esoterici importanti per il riscatto spirituale dell'uomo, ricorrendo a false datazioni ed a falsi editori. Ma ormai egli era 'segnalato', e, nonostante certi accorgimenti si venne a scoprire, ben presto, la sua mano sotto gli pseudonimi con i quali tale Opere vennero pubblicate. Una sofferenza in più per il suo cuore generoso e paterno che anelava all'Insegnamento dell' 'Ars Regia' mirante all'educazione spirituale dei suoi simili, meno fortunati per nascita, per censo e per lignaggio.

[…] A ben più di due secolo di distanza, molti suoi scritti invece di vedere la luce del sole sono ristretti nelle tenebre di qualche privata biblioteca o 'fratreria'. […] Purtroppo l' 'Illuminazione' di quelle persone non arriva nemmeno ad un barlume se non si è saputo raccogliere e tramandare, per più di due secoli, l'eredità spirituale del Principe. Egli voleva, esigeva che questa Sacra Scienza fosse aperta anche ai semplici, ai 'fanciulli' poiché era memore delle Parole del Salvatore – 'di essi è il Regno dei Cieli'-; al contrario del ricco (ma leggiamo anche potente) che dovrà arrabattarsi dietro il famoso cammello per farlo passare per l'altrettanto famosa cruna dell'Ago al fine di poter entrare, a sua volta, nella Casa di Dio."

Vedremo in seguito come un'erede della Tradizione del Principe, Giuliano Kremmerz, tentò nuovamente di 'aprire' l'ingresso alla Scienza della Tradizione ai 'fanciulli' ed ai puri, istituendo la Fratellanza Terapeutica Magica di Myriam, sotto la Protezione del Grande Ordine Egizio.

Ma iniziamo, dopo questa necessaria digressione, l'esame delle principali Opere a sfondo iniziatico pervenuteci.

1748 – 1749 – "SERIE DI LETTERE SUCCESSIVAMENTE INDIRIZZATE AD UN LIBERO PENSATORE, o sia, Spirito Forte per convincerlo con salde prove, e fino all'evidenza della necessità, che ha qualsiasi più ostinato Ateo d'osservare una buona e perfetta morale non solo ne' costumi, ma ne' pensieri ancora".

Di tale opera, manoscritto inedito difficilmente reperibile, riportiamo un riassunto – commento tratto da L. Sansone Vagni op cit, p.70: " In tale Opera inedita del Principe si argomentava su un passaggio molto critico ed importante della Via che l'Iniziato deve percorrere per pervenire alla Conoscenza: è il momento del Caos, è il momento in cui il Miste ha bisogno del maggiore aiuto per uscire da un vero inferno. E' il momento dei dubbi, delle paure, delle sofferenze ed il Maestro, come un buon Padre, dà i suoi consigli per superare nel migliore dei modi il terribile empasse iniziatico, fonte di errori per lo spirito debole e non ben preparato ad affrontarli. 'Purità di cuore' , 'purità di pensieri' è il Segreto Arcano ch'egli indica, qualità indispensabili per avvicinarsi alla Grande Opera Alchemica. […] Ma il vero pericolo non è intorno a noi, anche se sembra che l'Inferno abbia spalancato tutte le sue bocche sotto i nostri piedi per dannarci ed impedirci di proseguire sulla Via della Luce: il vero pericolo siamo solo noi, ancora molto attaccati alle lusinghe terrene, poco sinceri anche verso noi stessi e poco disponibili a donare tutto il nostro cuore, tutti i nostri pensieri alla Divinità. Più il cammino è spaventoso e arduo, più dobbiamo guardare con profonda sincerità entro la nostra coscienza: sicuramente vi troveremo la risposta, la causa di tutte le nostre ambasce e persecuzioni che dovremo subire. In tal caso dobbiamo prendercela solo con noi stessi, con il proprio ego e con le nostre imperfezioni terrene. Ecco dunque l'amorosa esortazione del Principe a comprendere, invitandoci ad andare avanti secondi i giusti canoni dell'etica morale, che ogni buon Iniziato deve osservare, se vuol proseguire nel Cammino della Luce e non in quello delle Tenebre. […] Egli completerà [tale argomento] in una delle prime tappe del Cammino Iniziatico nel suo Tempio della Pietà, interpretando magistralmente questo pensiero nella composizione del Monumento dedicato all' 'Educazione'. "

1749 – 1750 – "VERA CAGIONE PRODUCITRICE DELLA LUCE. Del nuovo pensamento da lui promosso intorno alla Vera cagione producitrice della luce, con le regole ben ordinate del quale pianamente e con chiarezza spiegati sono i più difficili Fenomeni."

Quest'Opera è probabilmente rimasta manoscritta e se ne possono trarre delle indicazioni sul contenuto, da quanti hanno potuto riassumerne i principi fondamentali. In particolare riportiamo sempre da L. Sansone Vagni op cit, p.72 il seguente commento:

" Chiaramente in essa il Principe si riferisce all'Illuminazione filosofica, una sorta di scoperta alchemica che avrebbe poi portato, di lì ad un paio d'anni più tardi, alla realizzazione, da parte dell'Autore, del 'Lume Filosofico' o 'eterno' che dir si voglia, e che doveva trovar 'posto' nella Camera dolmenica o Tempietto sotterraneo nel Tempio della Pietas."

1750 – 1751 – " LETTERA APOLOGETICA dell'Esercitato, Accademico delle Crusca, contenente la difesa del libro intitolato Lettere d'una Peruana. Per rispetto alla supposizione de' Quipu, scritta alla Duchessa di S…. e dalla medesima fatta pubblicare."

Questa è una delle Opere più importanti, sotto il profilo alchemico ed iniziatico del Principe. Sul frontespizio vi è il suo motto stampato, motto che indica la natura più profonda del Principe:

" Vir Mirus, ad omnia natus, quoecumque auderet".

"Uomo meraviglioso, strano, sorprendente, nato per osare in ogni cosa."

In tale epoca erano presenti nelle Americhe i Gesuiti, che erano giunti al seguito dei conquistatori spagnoli. Il Principe di Sansevero trarrà ispirazione per approfondimenti iniziatici dalle usanze delle popolazioni da poco incontrate e riportate in alcuni testi, tra l'altro condannati dalla Chiesa. In particolare fu attratto dai Quipu, un sistema simbolico di 'scrittura' mediante cordicelle colorate annodate. Gli 'zelanti sacerdoti' di quell'epoca bruciarono e distrussero gli archivi dei Quipu, considerati 'Libri del Diavolo', smaniosi di cancellare ogni possibile traccia di idolatria. E' proprio ai Quipu di grado superiore, che il Principe dedicherà parte della sua Lettera Apologetica, difendendone la profonda validità.

In particolare il Principe ricorda che Padre Valera " trovò tra i 'Quipu', antichissimi annali della Nazione, un'intera Canzoncina in versi di quattro sillabe che egli chiamava Spondaici: e quella serve ancora a far vedere il costume che essi avevano di filosofare intorno alle Meteore, come sono il Tuono, il Baleno, il Fulmine, la Grandine, la Neve e la Pioggia."

Riportiamo dall'Opera del Principe la "Canzoncina Inca":

Bella Infanta

Il tuo German

L'urna tua

Ora rompe

E al fracasso

Tuona, lampa

E fulmina:

Ma tu Infanta

La tua acqua

Mandi in pioggia

E alle volte la rappigli

Ed in neve

E in grandini,

Chi fe' il Mondo

Paciacamoc

Biracocia

A far quello

T'ha prescelta,

E portata

All'essere.

Commentiamo questa "Canzoncina" rifacendoci a L. Sansone Vagni op cit, p.54 e segg.:

"Come si può constatare, il Principe Raimondo ha ben sottolineato, con maiuscole, taluni fenomeni metereologici che altro non sono se non metafore espresse in un linguaggio puramente Alchemico e che ha voluto qui porre all'attenzione del lettore. […] Se analizziamo la definizione dei versi detti 'Spondaici' ci accorgiamo che essi non sono solo un tipo di metrica greca e latina, detta esametro (con uno 'Spondeo' nella quinta sede), ma che 'Spondeo' derivando dal greco spondeios da spondè significa anche 'Libagione'. Originariamente la manifestazioni sacre si celebravano con versi 'Spondaici' accompagnati da 'Libagioni Rituali'. […] Lo stretto legame tra il nettare ed il cibo degli Dei era sottolineato nella Festa di 'Ambrosia' che si celebrava in Grecia al tempo della vendemmia. […] Non si deve dimenticare, inoltre, l'importanza che ha avuto il vino nelle 'orgie sacre' dei riti dionisiaci. […] Le orgie, l'orgiasi, anticamente significavano riti compiuti dall'uomo in uno stato di trasporto, di estasi divina provocata, appunto, da queste bevande. […] Il Cristianesimo ha raccolto tale eredità nella mensa Divina dell'Eucarestia, sotto la specie del Pane e del Vino: l'Eucarestia, 'cibo dei Forti', che unisce a Dio. […] Il vino è simbolicamente il nettare, l'ambrosia degli Dei. […] Possiamo terminare questa panoramica sui riti delle 'Libagioni Sacre' estendendola anche al nostro Medioevo, dove l'Ordo Templi celebrava, evidentemente, riti analoghi se il detto di boire comme un Templier, secondo anche l'autorevole parere del Guenon, celava un significato segreto, operativo, ben lontano da quello grossolano poi prevalso nel tempo. […] Il termine di 'spondaici', riferito ai versi della 'Canzoncina Peruana' e gettato lì quasi con noncuranza dal Principe Raimondo, celava ben altre Cose che non la cura di far sapere al lettore il genere di metrica usata dai 'peruani'. In realtà si trattava semplicemente d'Immortalità e quei versi, all'apparenza come una ingenua filastrocca, ne suggerivano il mezzo per attuarla: iniziaticamente s'intende. […] Inoltre se consideriamo che l'Apologetica fu scritta dal Principe di San Severo nel 1750, cioè quando egli entrava nella Massoneria e stilava il terribile Statuto della Loggia degli Eletti o dei 'Vendicatori d'Hiram', si può affermare che la 'Canzoncina peruana' in questione, si potrebbe leggere anche secondo le regole dell'antico rituale del Tantrismo. Linea questa che, per tradizione, tutta la famiglia di Sangro aveva seguito e che fino ad allora si era manifestata attraverso le sfrenate orgie che si svolgevano nell'avito Palazzo Ducale di Torremaggiore; tale linea era stata ripresa da Don Raimondo in una forma però temperata e pura, più vicina […] ad una forma superiore."

In quest'Opera vanno inoltre evidenziati altri due argomenti di notevole importanza iniziatica.

Riportiamo dall'Apologetica un brano che il Principe riprende dalle Antichità Giudaiche del famoso storico Giuseppe Flavio, lib.I, cap. 4:

" Le due celebratissime colonne dei figliuoli di Seth: Trovarono Essi la Scienza delle Cose Celesti e l'ornamento di quelle compresero ed acciocché non perdessero gli Uomini quel Tanto, che parea loro d'aver trovato, o perché non venisse meno prima d'esser conosciuto, avendo Adamo predetto loro, che sarebber venute due rovine, una cagionata dal fuoco, e l'altra dalle acque, fecero due Colonne, una di mattoni e l'altra di pietra, scrivendo in ambedue la trovata Scienza; tal chè se quella de' mattoni per le pioggie avesse avuto a venir meno, quella delle pietre durando conservasse agli Uomini la Scrittura: Quella di pietre dura finora in Soria [dall'antic. Soria dal latino Suria variante del classico Syria 'Siria' Soria era il nome medioevale della Siria n.d.a.]."

Scrive L. Sansone Vagni op cit, p.73: " Potremmo aggiungere che tali parole hanno un sapore profetico per ciò che riguarderà le Opere del Principe, lasciate a Magistero per gli Uomini: la Colonna dei suoi Libri, come tanti mattoni, si è sgretolata sotto le bufere della Censura e dei ripetuti assalti dei suoi nemici occulti e palesi; ma l'altra di pietre, cioè la Colonna delle Opere in marmo nel suo tempio della Pietas ('Cappella' San Severo) durano (nonostante tutto) per la Conoscenza della Scienza Universale."

Il secondo argomento, di sapore biblico, deriva dal seguente passo: " E' tradizione tra i Rabbini che l'Albore della Vita nel Paradiso Terrestre, fosse di forma Tautica (da Tau – Anima del Mondo)."

Per rafforzare tale concetto il Principe aggiunge il disegno di un albero a forma di Tau.

Scrive L. Sansone Vagni op cit, p.74: " Il Principe dunque, ricorre a questa antica iconografia affinché il suo 'Albore' rechi i Buoni, Giusti Frutti del Vero Maestro, donando un barlume di Luce anche per il cieco profano."

Aprile 1753 – "LETTERE DEL SIGNOR D. RAIMONDO DI SANGRO Principe di San Severo di Napoli sopra alcune scoperte chimiche indirizzate al Signore Cavaliere Giovanni Girali Fiorentino e riportate ancora nelle Novelle Letterarie di Firenze del MDCCLIII".

Anche in questo caso citiamo il riassunto ed il commento di tali lettere riportati in L. Sansone Vagni op cit, p. 86 e segg.: "Se sinora il contenuto 'scientifico' delle 7 LETTERE complessive è stato interpretato come un'incredibile e fantasiosa invenzione del Principe Raimondo, nella realtà detta relazione circa la sua invenzione del Lume Eterno è stata scritta in un linguaggio puramente Alchemico. […] Del resto, l'intento del Principe di Sangro era proprio questo: far arrivare il suo messaggio ermetico sotto gli occhi di chi poteva intenderlo e capirlo, senza ttirare i fulmini della Censura. […] C'è stato forse qualcuno in dubbio se il Principe volesse intendere 'qualcos'altro' con la sua 'invenzione' del Lume eterno, magari la Grande Opera. Questi ultimi sono andati più vicini alla verità ma in realtà Don Raimondo in queste lettere illustra, letteralmente, le varie fasi dell'Opera per convertire il piombo in Oro, per portare l'Uomo dalle Tenebre alla Luce… e che Luce! Pensando al Lume Eterno voleva intendere l'Eternità, cioè l'Immortalità….."

Non è possibile, in questo breve scritto, esaminare a fondo il significato di tutte le 7 LETTERE, ma ne riportiamo alcuni brani, da cui si può comprendere la loro reale portata Alchemica.

LETTERA PRIMA: "Or venghiamo al fatto. Nel mese di luglio del passato anno essendomi applicato ad una operazione chimica col disegno di fare alcune fisiche esperienze, dopo essermi costata la fatica di ben quattro mesi in circa di lavoro, m'accadde finalmente una sera degli ultimi giorni di Novembre, che nello sturare verso un'ora di notte quattro orinaletti di vetro da stillare che io tenea innanzi a me su d'un tavolino, appena la materia, in uno di essi contenuta, del peso d'una quarta parte d'oncia meno sette grani, fu da me accidentalmente approssimata ad un cerino, che tosto s'accese, e alzò una bella e viva fiamma, la quale inclinava al gialletto… Rimasi io allora così contento di questa nuova e strana scoperta, che stetti per qualche ora sedendo a fare all'amore a solo a solo, per così dire, col mio nuovo fenomeno…

Io penso bene che voi, leggendo questa mia lettera, ad alcuni luoghi di essa vi sarete riso delle mie paure, e ad alcuni altri delle mie allegrezze, e m'avrete preso senz'altro in conto di que' si fatti Fisici sperimentali, per non dir Soffiatori, i quali per ogni che s'accendono stranamente di fantasia; ma non vi riderete più di me, dopo aver voi dalle altre susseguenti mie lettere finiti d'intendere tutta la stupenda storia del portentoso avvenimento; le gravissime conseguenze ch'io mi sono studiato di trarne; e 'l sublime disegno, che ci ho formato sopra.

Su tale lettera riportiamo alcuni commenti tratti da L. Sansone Vagni op cit, p. 89: "In questa LETTERA PRIMA è bene descritto il momento in cui l'Alchimista si trova, 'da solo a solo', alle prese con il suo 'Atanor' per poter fabbricare l'Oro. Ecco, Don Raimondo da qui inizia a scoprire anche la solitudine volontaria del Vero Alchimista e, conseguentemente, il cambiamento delle sue normali abitudini di vita, con l'allontanamento dalle cose mondane. Dal suo nuovo stato d'animo scaturisce la gravità delle sue decisioni che così chiaramente esprime a fine lettera; egli è pienamente conscio di come sarà la sua futura vita spirituale quando accenna alla 'sublimità del suo disegno'. Infatti, d'ora in poi, esso coinciderà con il suo Magistero d'Immortalità messo al servizio dei 'chiamati', degli 'Unti', non di quelli iniziati nelle segrete fratrerie.

Un ben duro colpo per l'orgoglio e l'ambizione di certi 'iniziati a vita' solo per il loro censo e nascita!".

LETTERA SECONDA:

Ne riportiamo solo la conclusione: "Ma è ben giusto, che una lettera, la quale contiene de' misteri, finisca con un misterio."

Qui va notato che il Principe non usa il singolare di misteri, cioè mistero, ma usa il termine misterio, nella forma più antica di linguaggio, in cui misterio indicava una verità soprannaturale che non può essere conosciuta mediante le forze naturali dell'intelligenza umana e la cui esistenza è stata comunicata all'uomo per mezzo della rivelazione divina.

LETTERA TERZA:

Ne riportiamo il seguente brano:

" Si sa bene dai pratici dell'Arte Chimica, che tutte quelle operazioni, le quali dipendono da certi gradi di calore, sia di sole, sia di fuoco se non sono fatte nel dovuto grado, non riescono sempre uguali. Or io, quando mandai ad una delle nostre vetriere, quel genere di roba, onde è stata poi la meravigliosa materia prodotta, perché vi si cuocesse."

Ci asteniamo da commenti su questo passo, lasciando al lettore trarre le opportune considerazioni.

Riportiamo invece una parte della conclusione di questa TERZA LETTERA, nella quale il Principe descrive il suo progetto di ampliamento del Tempio della Pietas, intendendo edificare a lato, sotto il piano di costruzione della Chiesa, un Tempietto Ovale.

"Questo Tempietto sarà di figura ovale, mostrerà di essere scavato in una rocca, e prenderà bastantissimo lume da una Cupola, nella quale saranno aperte alcune finestre."

E' interessante far notare che il Tempietto avrà una forma ovale, una forma ad 'ovo', richiamando il senso dell'Uovo: involucro universale della vita cosmica, contiene il pensiero e la materia.

Ricordiamo il primo aforisma del Kremmerz "Uno il Mondo, Uno l'Uomo, Uno l'Uovo".

A conclusione dell'Opera costituita dalle LETTERE AL GIRALDI, riportiamo da L. Sansone Vagni op cit, p. 106:

"Pertanto, nel rispetto del segreto dovuto all'Ars Regia, terminiamo questa esposizione con le parole di Don Raimondo poste a chiusura della LETTERA TERZA, nella convinzione che il pensiero del Principe di San Severo sia stato qui ben spiegato ove era d'uopo il farlo, appannato invece con il Velo del Mistero là ov'era necessario. Per tal motivo chiudiamo la nostra dissertazione sulle LETTERE A GIRALDI poiché il seguito di queste missive riguardano, sempre il linguaggio ermetico, l'ulteriore sviluppo delle operazioni alchemiche, sino al raggiungimento del Magistero.

Qui non è la sede adatta per trattare ancora l'argomento, mentre è necessario che andiamo a leggere quel che Don Raimondo ha lasciato alla nostra attenta meditazione, sull'nvenzione dei Lumi Eterni:

'Ma fintantoché resterà segreta la manipolazione, ond'a si fatta maraviglia si perviene, non potrà chicchessia dire d'averne trovata la ricetta ne' suoi antichi registri; e se vorrà dirlo, non gli sarà certamente possibile di venire alla pratica. Io son tanto certo di questo, che non ritengo manifestarvi la più solenne particolarità della operazione, la quale vi somministrerà per altro l'occasione di molto moltissimo meditare su di essa, e v'inspirerà forse quello stesso desiderio, che ha inspirato a me.'

Agosto 1753 – SUPLICA DI RAIMONDO DI SANGRO PRINCIPE DI SAN SEVERO Umiliata alla Santità di Benedetto XIV. Pontefice Ottimo Massimo – in difesa e rischiaramento della sua Lettera Apologetica sul proposito de' Quipu de' Peruani.

La Lettera Apologetica, di cui abbiamo parlato in precedenza, fu messa all'Indice da parte del Sant'Uffizio. In quell'epoca tale sanzione era gravissima per un 'Figlio della Chiesa' come era sempre stato considerato Don Raimondo e la sua Stirpe. Ciò lo rendeva come un appestato nei confronti della collettività. Per non rendere difficile la propria posizione in seno alla società in cui si trovava ad operare, il Principe compone questa SUPPLICA al Pontefice. In essa Don Raimondo usa un linguaggio con il quale può giocare sul significato manifesto e nascosto delle parole, delle frasi e delle intenzioni, sbaragliando ed abbagliando l'interlocutore, citando una enorme quantità di nomi, citazioni, luoghi, personaggi.

Vediamo come commenta quest'opera L. Sansone Vagni op cit, p. 112: " Chiamarla SUPPLICA lo stimeremmo un po' azzardato per un libro che inizia con un gigantesco 'IO' nella Capolettera, ornata e fregiata da una emblematica figura femminile.

Il pronome personale 'IO' messo lì in principio del testo, dimostra quanto era elevata la forza morale, ma anche la egocentricità, che manifestava un Don Raimondo Principe di San Severo anche se si indirizzava al Papa. Ad un più attento esame della Capolettera che orna la vocale, si può notare che anche qui il simbolismo ermetico non fa difetto. Infatti la scollacciata figura femminile addita una coppa delle sacre Libagioni ed un'anfora o Vaso filosofale. Non mancano, altresì, le due Colonne di Figli di Seth (ma anche massoniche), ed un bel pugnale da 'vendicatore d'Hiram': il tutto temperato dalla presenza di un agnello, forse per manifestare sentimenti di innocenza o un movente sacrificale, non si sa…..

Pensiamo ci sia già abbastanza, sin dalla prima vocale, per immaginare di quale tenore fosse poi il resto della SUPPLICA! […] Questo può dare l'idea di ciò che era permesso fare ad un Principe di San Severo, anche d'innanzi ad un Pontefice Romano.

[…] Sul frontespizio, fa bella mostra di sé un'incisione a stampa raffigurante l'emblema sommo dell'Ars Regia, nonché dell'Ermetismo: la Sfinge, con inciso nel basamento – ornato anch'esso di simbolismi ermetici – il motto Implexa Explicat, cioè l'Intreccio spiegato.

Non era il soggetto giusto, da raffigurare, per un testo pubblicato a difesa contro l'insinuazione che l'Apologetica fosse stata redatta in 'Maligno Gergo', come veniva anche chiamato l'Ermetismo o 'Lingua degli Uccelli', o la 'Gaia Scienza' che dir si voglia. Una simile immagine dimostra già da sé tutto il succo esoterico dell'Opera, al di là di tutte le scuse e giri di parole che la fantasia sbrigliata del Principe sapeva trovare per stornare, appunto, i suoi Inquisitori da tal sospetto. Machiavellico come sempre. Inoltre la Sfinge tiene tra le zampe anteriori, e ne fa bella mostra, il 'Libro Chiuso': chiara simbologia attestante che la Scienza non era stata affatto 'esplicata' …!".

IL TEMPIO DELLA PIETA' O PIETAS.

Scrive L. Sansone Vagni op cit, p. 12 e segg.: " [Come per le Cattedrali Gotiche] bisogna avere una chiave di lettura per poter decifrare alcune cose, come il Tempio della Pietà dei di Sangro o l'operato del Principe Raimondo. […] Ed è proprio in questa Chiesa che vi è un compendio di tutte le tendenze iniziatiche ed i vari simbolismi delle religioni più importanti, in un grande puzzle che aspetta solamente di essere ricomposto in un affresco gigantesco, da una mano sapiente e da una mente illuminata. Ma anche qui il tempo impietoso ha steso il velo dell'ignoranza e, quel che non si comprende più, è diventato patrimonio incontrastato della più abbietta superstizione e feticismo, alla stessa stregua dei Templi egizi e delle Cattedrali Gotiche."

Cercheremo di evidenziare il Cammino Iniziatico che Don Raimondo ha indicato mediante i Monumenti ed i Segni da lui lasciati, al fine di far comprendere l'Arte Reale.

Conviene iniziare dall'ubicazione del Tempio, si badi bene non Cappella. Oggi viene chiamato Cappella da coloro che non hanno inteso ciò che in esso è racchiuso. La titolazione 'Tempio della Pietà' è stata assegnata dagli avi del Principe Raimondo. Infatti il Duca GiovanFrancesco ed il Patriarca di Alessandria, Alessandro, sono stati i primi costruttori del tempio e tutta la SAPIENZA e l'ORO si deve ad essi.

"Solo che nel progettarlo – scrive L. Sansone Vagni op cit, p. 415 e segg. – e nel farlo eseguire, non tennero conto dell'apporto che questi due 'elementi' avrebbero dato a chi vi fosse entrato – benefico o malefico, a seconda del grado di spiritualità o di materialità posseduto dal visitatore – e costruirono perciò un 'qualcosa' che, attiva o negativa, si risolvesse sempre ad esclusivo godimento dei di Sangro. Don Raimondo, nel raggiungere l'alto grado iniziatico del Magistero, si accorse di tale gravissima 'mancanza' e cercò di mettere riparo alle 'influenze' che nei di Sangro, nel passato, per il loro discutibile costume di vita erano divenute 'negative'. […] Don Raimondo, nella sua infinita Pietà, comprese l'esigenza di mettere un po' d'ordine iniziatico nel Tempio, affinché ogni individuo che vi avesse messo piede, ne ricavasse il massimo giovamento, in senso positivo e spirituale. […] Solo così dal Tempio della 'Pietà' poteva uscirne l'Uomo Nuovo. […] I di Sangro erano depositari attraverso i secoli di una cultura esclusiva di 'addetti ai lavori', conoscevano l'Arte dei 'Costruttori di Cattedrali' e 'sapevano' 'dove' e 'come' ubicare tali Templi. Non a caso, proprio in quel 'sito' di Napoli ove sorge il Tempio della Pietà viveva in età classica una numerosa colonia egiziana di Alessandrini. Essa aveva eretto un grande Tempio intitolato ad Iside, la Dea, per eccellenza, a cui erano dedicati i culti 'isiaci' dei Misteri."

Riportiamo dall'Opera "Napoli Greco-Romana" di Bartolomeo Capasso – ried. del 1912 a cura del Comune di Napoli – pp. 45-46: " La strada (Via Mezzocannone), che abbiamo percorso tra la Porta Ventosa e il decumano inferiore, fu detta il Vico degli Alessandrini. Questi che pei loro commerci frequentavano già la Città di Napoli, crebbero assai di numero ai tempi dei Nerone; poiché quell'Imperatore, godendo assai delle loro ben modulate adulazioni, ne fece venire molti altri: così formarono in questa città quasi una piccola colonia, e la regione che essi abitarono fu detta Nilense dal nome del fiume benefico della madre patria. E qui si trova il monumento eretto al gran fiume, che è rappresentato nella figura di un vecchio sdraiato ed appoggiato col sinistro lato ad un rozzo sasso, donde sgorga acqua."

Scrive L. Sansone Vagni op cit, p. 417: " Se consideriamo che il Tempio isiaco era a lato del Nume, ne deduciamo che doveva essere un Tempio imponente, pari all'importanza della Divinità a cui era dedicato. Esso ricopriva tutta l'area oggi occupata dal Palazzo Corigliano o di Sangro dei Duchi di Vietri e dal palazzo dei di Sangro di San Severo.

[…] La parte di esso più sacra ed inaccessibile ai profani si trovava proprio nel luogo ove poi, secoli più tardi, sorgerà il Tempio della Pietà dei di Sangro. Sito più che opportuno perché proprio sotto la Chiesa scorreva e scorre quell'acqua tanto necessaria ai bagni di purificazione dei Misti e che anche il Capasso pone giusto nel retro del Tempio isiaco. E' da notare che proprio con gli Alessandrini la Scienza dei Misteri toccò il suo apice ed essi furono, così, dei caposcuola per tutti i movimenti esoterici e filosofici del mondo. Possiamo dunque immaginare con quale Scienza di Costruttori il Tempio fu edificato, cioè nel 'punto' e nel 'Centro' più adatto. I di Sangro, anch'essi Maestri di Conoscenza se non di Sapienza – per la tradizione iniziatica che è retaggio 'naturale' di certe classi di potere – cominceranno, tra la fine del XVI sec. e l'inizio del XVII, la costruzione del loro Tempio e, coincidenza non del tutto casuale, sarà proprio il 'Patriarca di Alessandria', Alessandro, a dare corpo a queste Antiche Tradizioni esoteriche.

Il Tempio della Pietà, dunque, fu edificato qui, proprio sugli avanzi della parte più segreta del Tempio Egizio dedicato a Iside e ai suoi Misteri. Tuttavia vogliamo ribadire che non fu Don Raimondo a profondere l'Oro nel suo Tempio gentilizio ma, al contrario, furono proprio i suoi predecessori a farlo.

Il suo merito è che questo Oro Alchemico 'nascosto' fosse da lui portato alla conoscenza di un vasto pubblico affinché ne approfittasse per leggere il 'Libro di Pietra', illustrato attraverso i suoi Monumenti. Il Tempio della Pietà veniva aperto al pubblico in alcuni particolari giorni dell'anno: quello dei Defunti e quello dell'Assunta. In tutto ciò che aveva progettato e realizzato il Principe – così come fa un amorevole padre per i suoi Figli meno fortunati – era chiara l'intenzione di 'scoprire' e non 'velare' i 'Misteri'."

Quindi l'Opera del Principe fu quella di raccogliere la Tradizione che era giunta nelle sue mani, attraverso la sua Famiglia, 'ripulirla' e renderla accessibile a tutti gli Uomini che avessero la volontà, la capacità e la purezza di avvicinarsi ad essa.

Continua L. Sansone Vagni op cit, p. 419: " Ora, supponendo il Tempio di Iside e la statua del Nume Nilo come un tutto unico, riferentesi ad uno 'spazio sacro', rileviamo che essi costituivano, allora, un 'Centro Cosmico' di conseguenza il Tempio della Pietà, come da noi appurato, verrà poi a trovarsi sulla parte più segreta dell'antico Tempio Egizio, formando, così, un 'Centro del Mondo' con tutte le implicazioni cosmologiche di detto Simbolo."

Definita la scelta del luogo, vediamo ora di comprendere la scelta del nome: il Tempio della Pietà, definito dal popolo 'Pietatella'.

Riportiamo da L. Sansone Vagni op cit, p. 421: "La Pietà, in latino PIETAS (pius = pio) è la Virtù di chi è pio cioè dimostra sensi di amore e di venerazione verso i genitori (e Avi, nel caso della 'Pietatella') e la Patria. I Romani veneravano la PIETAS come una dea dedicandole due Templi, uno nel Circus Flaminius e uno nel Forum Citorium. Il Cristianesimo ne estese il significato ai rapporti verso Dio e verso il prossimo, comprendendovi anche il sentimento della 'compassione'. Nella religione, invece, la PIETA' è uno dei 7 doni dello Spirito Santo, per il quale si sviluppa e perfeziona la Virtù della Giustizia."

La Giustizia non può che richiamare alla mente la figura della Maat Egizia.

Esaminiamo adesso il Tempio.

L'entrata del Tempio, ai tempi dei di Sangro, era diversa da quella odierna. All'epoca vi si accedeva dalla 'minor porta', sul lato sinistro.

Leggiamo, tradotto dal latino, e quanto scritto sull'architrave della porta d'accesso, sottolineando i passaggi più significativi:

" O viandante, chiunque sia tu cittadino o straniero, che entri quale ospite, il simulacro della Regina della Pietà, già da anni prodigioso, adora reverente, e il Tempio gentilizio da tempo consacrato alla Vergine e da Raimondo di Sangro Principe di San Severo, per la maggior gloria degli Avi e per conservare all'immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nei sepolcri, fu maestosamente amplificato nell'anno MDCCLXVII [1767]. Osserva con occhi attenti da studioso, e con venerazione, le ossa degli eroi onuste di gloria, contempla il culto della Madre di Dio e il valore dell'opera e la giustizia resa ai defunti e, quando avrai reso gli onori dovuti, profondamente rifletti su te stesso e allontanati."

Ecco il commento di questa lapide fatto da L. Sansone Vagni op cit, p. 458: " Questo Tempio 'esige' che vi si entri con venerazione e con sapienza di studioso e, soprattutto, gli 'occhi' del visitatore debbono 'Vedere' e recepire l' 'Arcano' nascosto nei suoi Monumenti: cioè rintracciare il 'Libro di Pietra' che ci guida, come il 'filo di Arianna', nel 'Cammino' che ogni profano deve intraprendere se vuole 'iniziarsi ai Misteri'. E' necessario, perciò, che dopo 'recepito' l'insegnamento, il Miste compia, prima di tutto, un esame del proprio 'io': infatti la massima 'CONOSCI TE STESSO' è alla base di ogni 'Via Iniziatica'. Infine obbedire al comando: 'allontanati'! Dal momento che nel 'Sancta Sanctorum', nel 'Centro', non si può sostare più del necessario: preso 'l'insegnamento', è solo con noi stessi che dobbiamo impegnarci a percorrere la lunga strada che porta all' 'Uomo Nuovo'. Nel Tempio si entra brevemente e solamente per 'assimilare', 'apprendere' ed 'avanzare', proseguendo per le diverse tappe o 'gradi' di iniziazione ai Misteri."

Appena entrati, sopra la cornice di questa Porta, troviamo un sarcofago con teschi e tibie, ma con uno sfondo di un ampio panneggio di stucco colorato di rosso e sorretto da cherubini pensosi e sorridenti. Non sembra di trovarsi di fronte ad un apparato funereo, bensì di fronte ad una bara, che rappresenta un Vaso Alchemico, un Atanor.

Ricordiamo che nei paramenti della Loggia del Principe era preponderante il colore rosso, colore del sangue e della vita.

Nel Tempio vi sono dei punti principali, che segnano il Cammino Iniziatico, ed essi sono segnati dai Monumenti dedicati alle mogli dei Principi di San Severo.

Non è possibile, in questa sede, esaminare approfonditamente tutti i Monumenti ed i significati dei punti del Cammino Iniziatico. Indicheremo solo alcuni aspetti più significativi, lasciando al lettore l'approfondimento, nelle sedi opportune, di quanto indicato nel percorso iniziatico.

Prima tappa: L'Amor Divino. Il Soffio celeste, che animerà il 'fango' dell'uomo.

Seconda tappa: L'Educazione. L'apprendimento, che implica una rigida disciplina, alla quale deve sottostare il bambino-iniziato.

Terza tappa: Il Dominio di se stesso. Vi è rappresentato un uomo che cerca di tenere a bada un leone.

Quarta tappa: La Sincerità. L'uomo non deve barare con se stesso. Se mentiamo a noi stesssi non vi è più via d'uscita.

Quinta tappa: Il Disinganno delle cose mondane. Il Monumento è chiamato dal popolo anche 'Il Pescatore'. Qui si catturano le anime pronte , mentre si rigettano quelle non pure e non preparate.

Sesta tappa: La Pudicizia. E' rappresentata la Grande Madre, la Luna. Essa ha tra le mani tralci di rose; richiama la 'Rosa Mistica'. Essa è ricoperta di Veli.

Settima tappa: La Soavità del giogo maritale. Ai piedi della statua un paffuto putto gioca con un Pellicano.

Ottava tappa: Lo Zelo . Vi è rappresentato un saggio vegliardo, un Adepto, un Magister, con barba fluente ed ampi panneggi. Egli solleva una lucerna a tre becchi.

Nona tappa: La Liberalità. E' rappresentata una figura efebica, di incerta sessualità, che regge una cornucopia traboccante di oro e gemme, mentre ai suoi piedi è posta un'Aquila.

Decima tappa: Il Decoro. Un giovinetto androgino con pelle di leone ai fianchi. La pelle dell''animalis homo' pende dai suoi fianchi.

Moltissimo ci sarebbe da dire su questo Tempio e sull'Oro e l'Insegnamento, che esso racchiude, ma ci fermiamo qui, non senza un sentimento di gratitudine per il Principe Raimondo di Sangro, che ci ha lasciato tale testimonianza.

I CONTINUATORI DELLA TRADIZIONE ERMETICA EGIZIA

L'insegnamento che il Principe Raimondo di Sangro aveva profuso nelle sue Opere fu ripreso dal cugino, il Cavaliere d'Aquino, che lo trasmise a Cagliostro. Su tali insegnamenti Cagliostro fondò la sua massoneria di Rito Egizio.

Ma chi fece da ponte tra l'ermetismo egizio del XVIII secolo, proprio del di Sangro, e quello successivo del XIX secolo fu l'avvocato e letterato salernitano Domenico Bocchini. Egli, tra l'altro, si fa ritrarre nel Frontespizio della sua opera "Il Romolo di Plutarco", proprio accanto alla statua del Nilo, posta nella Piazzetta Nilo sopra citata, in quel quartiere ove si trova il Palazzo ed il Tempio dei di Sangro. Egli riprende e trasmette la tradizione ermetica egizia, cercando anche di riportare al più profondo senso iniziatici i classici antichi.

Alla scomparsa di Domenico Bocchini fu Giustiniano Lebano, che ne raccolse l'eredità e la tramandò a sua volta.

Egli rivitalizzò il Centro Egizio Napoletano, riformando l'Ordine Egizio Osirideo, che al suo interno tramandava gli insegnamenti Alchemici, derivanti dal di Sangro.

Uno dei componenti di tale Sinedrio Ermetico Egizio fu Pasquale De Servis, che inizierà all'Ermetismo Egizio Ciro Formisano, che assumerà il nome iniziatico di Giuliano Kremmerz.

Fu proprio Giuliano Kremmerz ad incarnare in modo perfetto quanto Raimondo di Sangro iniziò a fare.

Il Kremmerz infatti cercò nuovamente di mettere a disposizione degli uomini meritevoli l'Oro dell'Insegnamento Ermetico Egizio, fondando una Fratellanza Isiaca – la Fratellanza Terapeutica Magica di Myriam, con finalità terapeutiche, come palestra per la purificazione dei Misti, e per avviarli poi, se pronti e preparati, ad un percorso alchemico, per la formazione dell'Uomo Nuovo.

Oggi, se possiamo usufruire di questi alti insegnamenti iniziatici, precedentemente chiusi in Famiglie e Dinastie, lo dobbiamo a personalità come Raimondo di Sangro, che sfidando la Censura del suo tempo, li mise a disposizione dei meritevoli ed a personalità come Giuliano Kremmerz, che per tutta la sua vita cercò di rendere attuale il messaggio iniziatico e di metterlo al servizio dell'umanità, pro salute populi.

A conclusione sono convinto che il modo migliore per onorare questi grandi personaggi sia solo quello di continuare con tenacia, umiltà e determinazione il lavoro da loro iniziato.


Federico D'Andrea .

FDA