Accademia Kremmerziana Napoletana

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Sulla preparazione della Pietra dei Filosofi, RoMa.

 

Sulla preparazione della Pietra dei Filosofi (RoMa)
Il 25 luglio del 1910 veniva  pubblicato in Roma il primo numero del COMMENTARIUM per le Accademie Ermetiche (S.P.H.C.I.) del Dott. Giuliano Kremmerz. La pubblicazione prevedeva 22 fascicoli annui, di pagine 24 ognuno, editi il 10 e il 25 di ogni mese, tranne che il 25 dicembre e il 10 giugno. Il primo anno furono pubblicati  10 numeri.
Dal primo numero riportiamo lo scritto Integrazione firmato La Redazione e Il Sogno Verde del Trevisano tradotto da G.F. (Giuliano Formisano?).
Si tratta di due scritti che riteniamo importanti per chi si addentra nella dottrina ed è addetto ad un lavoro quotidiano; il lettore attento saprà trarre buoni frutti  dalla lettura di questi scritti.

INTEGRAZIONE

Desideriamo che si sappia che questa pubblicazione non è una ampia palestra di polemiche filosofiche e religiose, e che, informata ai criterii filosofici e sperimentali di una Scuola, è lontana dalla fede di qualunque nome, perché intende, in piccolissima misura, iniziare una applicazione positiva delle forze mentali e organiche latenti dell'uomo, e non invischiarsi nelle questioni trascendentali, a cui pigliano parte apparentemente la ragione, e sostanzialmente il sentimento.
Desideriamo quindi che chi ci legge non ci sospetti ne di misticismo arcadico, ne di ambizione riformatrice di chiese, di sinagoghe, di pagode e moschee, ne di mania messianica.
La nostra scuola si propone, positivamente e sperimentalmente, questioni concrete:
1°) Dopo il progresso degli studi psichici dell'ultimo ventennio, accettando la scienza che l'organismo umano possiede in sé una fonte non ancora definita da cui scaturiscono, in determinate condizioni, fenomeni intelligenti e manifestazioni di forze psichiche — è possibile adattare queste ai fini terapeutici, tanto morali quanto materiali?
2°) Il patrimonio superstizioso ereditario della antica magia sacerdotale e cabalistica, dalle antiche religioni morte, che segnarono epoche di civiltà tramontate, contiene in forma positiva, accertabile dall'esperienza, qualche cosa a cui la conoscenza attuale del sapere umano non è arrivata?
3°) Se i nostri studii e le nostre investigazioni trovano qualche cosa o più cose utili nelle occultazioni sacre e sacerdotali antiche dimenticate, tali da meritare l'onore della prova, possiamo sposare meste conoscenze alle nuove e servircene a scopo di benefica esperienza?
Come si vede, in forma chiara, dai tre quesiti, noi restiamo ammiratori di tutta la cultura teosofica e neo-religiosa e spiritualista contemporanea, ma non possiamo ne dobbiamo confondere il nostro cammino e l'opera nostra con quella degli altri.
I non ascritti alla nostra Scuola, e quindi non praticanti, devono capire che queste pagine non si prestano alla esperienza disordinata e impreparata dei curiosi e di quelli che delle scienze psichiche fanno argomento di sport letterario — appunto perché noi stiamo lavorando da parecchio terra terra, e le aquile intellettuali, senza uno sforzo doloroso, non possono scendere al livello modesto di noialtri e intenderci.
A quelli che ci diranno: siete una setta, risponderemo che siamo una scuola elementare di materialismo psicologico e che la ragione stessa dei nostri esperimenti ci costringe a chiuderci in una catena di anime, di cui l'esperienza stessa richiede il contributo animico o psichico.
Infatti la scuola nostra cava la teoria dalla pratica e non viceversa. Si direbbe un circolo di magia operante, formato dalle anime dei discepoli e degli studiosi. Perché questo circolo non sia un vuoto disegno ideale, ogni numero o anima segue dei riti analogici e un sistema di vita atta a darci il tesoro di una unità animica potenziale, di un valore discutibile se non ci da realizzazioni effettive, di un valore indiscusso se ci offre risultati positivi e controllabili.
D'altronde la porta della Scuola non è chiusa a doppio catenaccio, vi si arriva facilmente con la buona volontà e con l'anima, preparata da una coltura omogenea, propensa a far parte di una famiglia, che l'amore e la ricerca della verità mantiene salda.
Il Commentarium si definisce dal suo nome di battesimo. Leggendo, studiando, investigando, riflettendo, intuendo, a spizzico, ma con una direziono definita, si chiosano e si enunciano opinioni, si annotano e si riferiscono cose sussidiarie agli studii nostri, da punti di vista diversi e con criterii positivi. È una critica espositiva a frammenti, a massime, ad enunciati, onde la costituzione di una dottrina elementare sulle differenti applicazioni delle forze di origine psichica possa emergere come contributo alla investigazione umana e alla scienza per antonomasia, che mira alla unità integrale del progresso intellettuale dei popoli.
Questo Spirito o Ideale che ci. sprona ad un lavoro paziente, incessante, preparatore di tempi nuovi, per la emancipazione delle anime dalla schiavitù della superstizione cieca, ci mostrerà alle persone che ci seguiranno tal quali vogliamo essere: fattori di bene e disinteressati evocatori di Luce.
Luce? È una parola abusata. Noi la intendiamo irradiante il beneficio della conoscenza dell'essere, affinché in un giorno più o meno lontano, l'utopia di una lotta contro il dolore diventi carne e vita dei popoli.
La Luce ci dirà che l'uomo si redime da sé — e la redenzione dell'ignoranza diventa la più superba conquista dell'avvenire, per la pace in noi e intorno a noi, per la concreta conoscenza di quel che fummo e di quel che saremo, fattori di male o di bene, secondo il grado della nostra coscienza illuminata.
Le questioni di importanza politica, i problemi della vita sociale, le scoperte di ordine materiale, le invenzioni più sbalorditive hanno un valore relativo innanzi alla sfinge dell'anima umana. Ve una questione sociale delle coscienze integrate che rappresenta il massimo limite dell'enimma universale — e quando la scienza l'avrà risolta, gli olimpi di tatti i mistici saranno realtà sulla Terra — perché gli uomini diventino dii di qua dalle nuvole della credulità.
Domandiamo una parola di pace e l'aiuto intelligente a tutti gli nomini di buona volontà.

La Redazione.

IL SOGNO VERDE
(di Bernardo Trevisano)

Veridico e Vero perché contiene Verità
 
In questo sogno tutto apparisce sublime; il senso apparente non è indegno di quello che si nasconde; la verità vi brilla da sé stessa con tanto splendore che non è difficile scoprirla attraverso il velo di cui si è preteso servirsi per mascherarcelo.
Io ero immerso in un sonno profondissimo quando mi sembrò di vedere una statua alta quindici piedi circa, rappresentante un Vecchio Venerabile, bello e perfettamente proporzionato in tutte le parti del suo corpo. Aveva dei lunghi capelli d’argento tutti ondeggiati; gli occhi erano di fine turchine, in mezzo ad essi erano incastrati carbonchi così splendidi che non se ne poteva sostenere lo sprazzo. Aveva le labbra d’oro, i denti di perle orientali e tutto il corpo di rubino scintillante. Toccava col piede sinistro un globo terrestre che pareva lo sostenesse: avendo il braccio dritto elevato e teso sembrava sorreggere sull’estremità delle dita un globo celeste di sopra la sua testa e con la mano sinistra teneva una chiave di grosso diamante grezzo.
Quest’uomo avvicinandosi mi disse: "Io sono il Genio dei saggi, non temere di seguirmi". Poi, prendendomi pei capelli con la mano in cui teneva la chiave, mi sollevò e mi fece attraversare le tre regioni dell’Aria, quella del Fuoco e i Cieli di tutti i pianeti. Mi trasportò ancora più in là, poi avvoltosi in un turbine disparve e mi trovai in un isola galleggiante su di un mare di sangue. Meravigliato di trovarmi in paese così lontano, camminai sulla riva e, considerando questo mare con una grande attenzione, vidi che il sangue di che si componeva era vivo e caldo. Notai anche che un vento dolcissimo, che l’agitava senza posa, ne intratteneva il calore e vi eccitava un bollore che dava a tutta l’isola un tremito quasi impercettibile.
Preso d’ammirazione per cose così straordinarie, cominciai a riflettere su le tante meraviglie, quando scorsi molte persone al mio lato. M’immaginai dapprima che volessero maltrattarmi e mi rifugiai in una macchia di gelsomini per nascondermi, ma il loro olezzo mi addormentò, fui scoperto e preso.
Il più grande della brigata, che mi sembrava comandasse gli altri, mi domandò fieramente chi m’avesse fatto così temerario da venire da paese inferiore in questo altissimo impero. Io gli raccontai in qual modo v’era stato trasportato e subito questo uomo, cangiando improvvisamente di tono e di modi, mi disse: "Sii il benvenuto tu che fosti condotto qui dal nostro altissimo e potentissimo Genio". Poi mi salutò e tutti gli altri in seguito mi salutarono secondo il loro costume, che è di coricarsi sul dorso, poi mettersi a ventre per terra e ritornare in piedi. Risposi al saluto secondo le mie abitudini. Egli mi promise di presentarmi all’Hagacestor che è il loro imperatore. Si scusò di non aver vettura per portarmi in città da cui eravamo lontani una buona lega. Durante il cammino non mi parlava che della potenza e della grandezza del loro imperatore, che possedeva sette regni e questo aveva scelto in mezzo agli altri per farne sua dimora abituale.
Notò ch’io camminavo con difficoltà sui gigli, le rose, i gelsomini, i mughetti, le tuberose e una quantità prodigiosa di fiori delle specie più rare e più belle, e che crescevano sulla via; e mi domandò sorridendo se io temessi di far male a quelle piante. Risposi di saper bene che in quelle non vi era anima sensitiva; ma, essendo rarissime nel mio paese, io ripugnavo a calpestarle.
Non scoprivo per tutta la campagna che fiori e frutta, domandai dove seminassero il grano. Mi rispose ch’essi non lo seminavano e che lo trovavano in grande copia nelle terre sterili e che l’imperatore ne faceva gettare la più gran parte nei nostri paesi in basso per farci piacere e le bestie mangiavano quello che ne restava. Per loro uso facevano il pane coi fiori più belli che impastavano con la rugiada e lo cuocevano al sole. E, poiché io vedevo dappertutto una così prodigiosa quantità di frutti bellissimi, ebbi la curiosità di prendere alcune per mangiarle. Costui volle vietarmelo assicurandomi che solo le bestie ne mangiavano, ma io le trovai di un gusto ammirevoli. Allora mi regalò delle pesche, dei melloni e dei fichi come non se ne sono mai visti in Provenza, in Italia e in Grecia di gusto così squisito. Mi giurò che queste frutta si producevano senza coltivazione alcuna ed assicurandomi ch’essi non mangiavano nessun’altra cosa col loro pane.
Domandai come potessero conservare fiori e frutta durante l’inverno. Mi disse che non conoscevano gli inverni, che i loro anni non avevano che tre stagioni solamente, cioè la primavera e l’estate, e che da queste due si formava una terza, l’autunno, che rinchiudeva nel corpo dei frutti lo spirito della primavera e l’anima dell’estate e che in quest’ultima stagione si raccoglievano i grappoli d’uva e la melagrana, che erano i più buoni frutti del paese.
E appena io gli dissi che noi ci cibavamo di carne di bue, di montone, di selvaggina, di pesce e d’altri animali si mostrò stupefatto, e volle dirmi che noi dobbiamo avere un intelletto abbastanza grossolano, ingozzando alimenti così materiali. Io l’ascoltavo con grande attenzione e non m’annoiavo per niente ad imparare cose così belle e curiose, ma invitato a considerare l’aspetto della città, da cui non eravamo lontani che un duecento passi, non ebbi tosto levati gli occhi per guardare che non vidi più niente diventando cieco, della qual cosa il mio compagno e il seguito presero a ridere.
Il dispetto di vedere che costoro si divertivano alle mie spalle mi faceva più soffrire della mia disgrazia. Se ne avvidero che i loro modi non mi facevano contento e colui che aveva sempre preso cura di me, mi consolò esortandomi ad avere un po’ di pazienza e assicurandomi che in un attimo avrei recuperato la vista; poi corse a prendere un’erba, con cui mi stropicciò gli occhi, ed io vidi subito la luce e lo splendore di questa superba città della quale tutte le case erano di cristallo purissimo che il sole rischiarava continuamente perché in quest’isola non v’era mai notte. Non mi si volle permettere di entrare in nessuna di queste case, ma di vedervi quello che succedeva di dentro attraverso le mura trasparenti. Esaminai la prima casa identica a tutte le altre, formata di un sol piano, composto di tre appartamenti ognuno di più camere e camerine.
Nel primo appartamento appariva una sala ornata di un parato di Damasco, tutto ornato di un gallone d’oro bordato di un sottile crespo anche d’oro. Il fondo di questa stoffa era cangiante di rosso e di verde con rilievo d’argento finissimo e tutto ricoperto di un velo bianco. In seguito erano alcune camerette tempestate da gioielli di colori differenti, poi si scopriva una camera tutta addobbata di un bel velluto nero bordato da molte strisce di raso nerissimo e lucentissimo, il tutto spiccava per un ricamo di perle nere ancora più brillante e splendente.
Nel secondo appartamento si vedeva una camera tappezzata di seta bianca cosparsa di perle orientali rarissime. In seguito v’erano molte camerette parate da più colori, in raso azzurro, in damasco violetto, in seta citrina e incarnata.
Nel terzo appartamento era una camera parata d’una stoffa smagliantissima di porpora a fondo di oro più bella e più ricca di fronte alle altre stoffe già vedute.
Io mi domandai dove erano il signore e la signora di quella casa.: mi si rispose che si erano nascosti in fondo di questa camera, e che essi dovevano ancora passare in un’altra più lontana, separata da queste da alcune comunicazioni e che gli ornamenti erano di colori tutti differenti, gli uni color isabella, gli altri seta verde, altri di broccato d’oro.
Non potevo vedere il quarto appartamento perché doveva essere indipendente, ma mi si disse che consisteva in una camera la cui tappezzeria era un tessuto di raggi di sole i più puri e i più concentrati in questa stoffa di porpora che allora avevo visto.
Dopo tutte queste curiosità mi insegnò come facevano i matrimoni fra gli abitanti di quest’isola.
L’Hagacestor, conoscendo perfettamente l’indole e i temperamenti di tutti i suoli sudditi dal maggiore all’ultimo, riunisce i parenti più prossimi e mette una giovanetta innocente e pura con un buon vecchio sano e vigoroso: poi monda e purifica la Giovane, lava e netta il Vegliardo che presenta la mano alla Giovane, E La Giovane prende la mano del Vecchio. Poi li si conduce in uno di questi alloggi, di cui si suggella la porta con gli stessi materiali di cui la casa è stata fatta, e bisogna che restino così chiusi insieme nove mesi tutti interi durante questo tempo fanno tutte le belle tessiture che m’han fatto vedere.
Alla fine di questo termine essi escono tutti e due uniti in un medesimo corpo e, non avendo più che un’anima, non sono più che Uno di cui la potenza è molto grande sulla terra. L’imperatore se ne serve allora per convertire tutti i cattivi che sono nei sette regni.
M’avevano promesso di farmi entrare nel palazzo imperiale e di farmene vedere gli appartamenti, e un salone tra gli altri in cui sono quattro statue antiche quanto il mondo, delle quali quella che sta nel mezzo è il potente Seganissegede che m’aveva trasportato in quell’isola. Le tre altre che formano un triangolo intorno a questo, sono tre donne, cioè Ellugate, Linemalore e Tripsarecopsem. 
M’avevano anche promesso di farmi vedere il tempio ove è l’immagine della loro divinità chiamata Elesel Vassergusine. Ma i galli si erano messi a cantare, i pastori conducevano i loro greggi ai campi e gli operai preparavano i loro carri e fecero un così gran rumore che mi svegliarono, e il mio sogno si dissipò interamente.
Tutto questo che avevo visto era niente di fronte a ciò che dovevo vedere, non pertanto io mi consolo quando rifletto a questo Celeste Impero, in cui l’Onnipotente appare assiso sul suo trono di gloria accompagnato da Angeli, Arcangeli, Cherubini, Serafini, Troni e Dominazioni: è là che noi vedremo ciò che l’occhio non ha mai visto ed udremo ciò che l’orecchio non ha mai sentito, poiché è questo il luogo in cui dobbiamo godere una felicità eterna che Dio stesso ha promesso a tutti quelli che se ne renderanno degni, essendo tutti stati creati per partecipare a questa gloria.
Facciamo dunque tutti i nostri sforzi per meritarla.
 Lodato sia Iddio.

 

Dalla Turba Philosophorum  riportiamo questo oscuro scritto che per quanto possa sembrare strano e inintelligibile a qualcuno potrà apparire chiaro e utile per ritmare il proprio lavoro. Chi vuole capire capisca.

 “Voi parlate assai oscuramente e troppo. Ma io voglio indicare completamente la Materia, senza tanti discorsi oscuri.
lo ve lo ordino, o Figli della Dottrina: congelate l'Argento vivo.
Di più cose, fatene due, tre, e di tre una. Una con tre è quattro. 4, 3, 2, 1, da 4 a 3 vi è 1, da 3 a 4 vi è 1, dunque le 1,3 e 4. Da 3 a 1 vi è 2, da 2 a 3 vi  è l’1, da 3 a 2 vi è 1. 1, 2 e 3 e 1, 2 di 2 e 1, 1. Da l a 2,1, dunque 1.


Vi ho detto tutto.”

Alcuni simboli infine potranno tornare utili nella pratica chimica di laboratorio: